venerdì 14 ottobre 2016

No al referendum Renzi-Boschi: le ragioni di lungo periodo, per un cambiamento vero.

Questo governo non ha alcuna legittimazione popolare ma si fonda su una maggioranza parlamentare eletta sulla base di una legge dichiarata incostituzionale dalla consulta. Il Premier Renzi e la sua ministra Boschi non hanno ricevuto un’investitura con libere elezioni e lo stesso prima di loro era successo con Enrico Letta e, ancora più clamorosamente, con Mario Monti.
La riforma è stata approvata dal parlamento con dei passaggi molto discutibili e sostanzialmente senza alcuna discussione.
Il 4 dicembre ci troveremo di fronte ad un voto: Renzi Sì/Renzi No, ma è solo questo?
L’alternativa è tra un metodo e un altro: tra un sistema in cui il popolo sovrano si sceglie chi lo governa, attraverso le elezioni e, una volta votato, anche chi la pensa diversamente si lascia governare, e un sistema in cui chi governa gli italiani viene scelto a Berlino, dai poteri forti europei, o a Parigi, da chi muove guerra all’economia italiana, con la complicità della sinistra.
Il nostro No, non è il no della minoranza PD o di Beppe Grillo, o di Zagrebelsky, che è un no di conservazione, di nostalgia per le concertazioni della prima repubblica o per la costituzione da vetrina, com’era stata pensata dai costituenti.
Il No della destra è il No all’Europa che sottrae sovranità agli italiani e c’impone i leader graditi a tutti tranne che al nostro popolo.
Il No della destra è il No all’Italia delle segreterie dei partiti, o meglio di un partito, e dei suoi leader, che riformano sfasciando perché pensano solo al loro potere e non hanno valori.
Il nostro No è un No che vuole cambiare di più e meglio perché le riforme siano un passo nella direzione di adeguare la struttura istituzionale dell’Italia ad un mondo globalizzato e di contrastare forze economiche oscure e potenti.
Guardiamo invece tre norme di questa riforma costituzionale e vediamo perché il nostro No è la salvezza del nostro futuro e la premessa per un vero e utile cambiamento.
Sono quelle che modificano altrettanti articoli cruciali della nostra costituzione: 70, 80 e 117.
In breve: con il primo si passerebbe, se scelleratamente vincesse il sì, da 9 parole a migliaia e, aprendo la sezione dedicata alla formazione delle leggi, si illustrerebbe con particolare chiarezza la “capacità di semplificazione” di questo governo nella materia chiave della riforma che è appunto il procedimento di formazione della legislazione nazionale.
L’oggetto della riforma prevede il passaggio dal bicameralismo perfetto al bicameralismo (molto) imperfetto, con il Senato che anziché essere eletto sarebbe composto da sindaci e consiglieri comunali nominati dalla segreteria del partito che vince le elezioni, o la tombola a Bruxelles, come nel caso dei nostri ultimi tre governi.
L’unica novità sostanziale sarebbe l’immunità per questi signori, che oggi ne sono privi!
Per quanto riguarda le competenze di questo Senato veniamo alla seconda norma, quella che modifica l’art. 80 della costituzione.
Premesso che tutta la materia dei rapporti internazionali nonché, ex art. 78, la deliberazione dello stato di guerra, sarebbero attribuiti alla Camera dei Deputati e dunque ad un assemblea eletta, in cui rimarrebbe comunque, almeno in teoria, la possibilità di una dialettica parlamentare, l’art. 80 invece si conclude: <Le leggi che autorizzano la ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea sono approvate da entrambe le camere>, quindi anche dal Senato (pseudo)riformato>.
Le norme dei Trattati europei e solo esse sarebbero dunque immodificabili senza il voto del Senato, che, come abbiamo detto, non sarebbe composto di votati e non voterebbe la fiducia, cioè risponderebbe solo al premier e al segretario del partito di maggioranza che nel caso di Renzi coincidono.
Questo significa che solo il sig. Renzi, con la sua riforma, potrebbe legittimamente aspirare a modificare gli odiosi vincoli di Maastricht, ma senza correre il rischio di dibattiti politici tra senatori eletti o, peggio, di voti di sfiducia, che nel nuovo senato non sarebbero neanche ipotizzabili.
Questo significa che il nostro Renzi, che deve la sua carica non al suffragio degli italiani, ma al benestare degli alleati-padroni, ha rassicurato costoro sulla stabilità delle norme fondamentali UE calpestando la sovranità popolare nell’atto fondante della repubblica: la Carta Costituzionale.
L’oligarchia che ci vuole imporre il premier e che non vuole la sua elezione mediante libere consultazioni è in Europa: a Roma ha solo i suoi esecutori.
E per concludere veniamo all’art. 117 che al comma 4 prevede: < Su proposta del governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale >.
Può essere sufficiente che la tutela dell’interesse nazionale sia affidata a leggi dello Stato senza alcuna procedura di urgenza, né strumenti amministrativi che possano avere un minimo di efficacia nell’azione dell’esecutivo?
Per questo il nostro No non è un No di conservazione ma di cambiamento: noi vogliamo una riforma vera, affidata ad un’assemblea costituente, in cui, e si tratta solo di un esempio, l’interesse nazionale sia nelle mani sicure di un Presidente che sia eletto dal popolo e quell’interesse sappia farlo proprio senza che gli venga dettata l’agenda dalle consorterie di Bruxelles.
Siamo quindi per una Repubblica Presidenziale che sappia restituire la sovranità al popolo in un quadro di poteri equilibrati e bilanciati che possa coniugare al meglio governabilità e garanzie per le minoranze.