Questo governo non ha alcuna
legittimazione popolare ma si fonda su una maggioranza parlamentare eletta
sulla base di una legge dichiarata incostituzionale dalla consulta. Il Premier
Renzi e la sua ministra Boschi non hanno ricevuto un’investitura con libere
elezioni e lo stesso prima di loro era successo con Enrico Letta e, ancora più
clamorosamente, con Mario Monti.
La riforma è stata approvata dal
parlamento con dei passaggi molto discutibili e sostanzialmente senza alcuna
discussione.
Il 4 dicembre ci troveremo di
fronte ad un voto: Renzi Sì/Renzi No, ma è solo questo?
L’alternativa è tra un metodo e un
altro: tra un sistema in cui il popolo sovrano si sceglie chi lo governa,
attraverso le elezioni e, una volta votato, anche chi la pensa diversamente si lascia
governare, e un sistema in cui chi governa gli italiani viene scelto a Berlino,
dai poteri forti europei, o a Parigi, da chi muove guerra all’economia
italiana, con la complicità della sinistra.
Il nostro No, non è il no della
minoranza PD o di Beppe Grillo, o di Zagrebelsky, che è un no di conservazione,
di nostalgia per le concertazioni della prima repubblica o per la costituzione
da vetrina, com’era stata pensata dai costituenti.
Il No della destra è il No
all’Europa che sottrae sovranità agli italiani e c’impone i leader graditi a
tutti tranne che al nostro popolo.
Il No della destra è il No
all’Italia delle segreterie dei partiti, o meglio di un partito, e dei suoi
leader, che riformano sfasciando perché pensano solo al loro potere e non hanno
valori.
Il nostro No è un No che vuole
cambiare di più e meglio perché le riforme siano un passo nella direzione di
adeguare la struttura istituzionale dell’Italia ad un mondo globalizzato e di
contrastare forze economiche oscure e potenti.
Guardiamo invece tre norme di
questa riforma costituzionale e vediamo perché il nostro No è la salvezza del
nostro futuro e la premessa per un vero e utile cambiamento.
Sono quelle che modificano
altrettanti articoli cruciali della nostra costituzione: 70, 80 e 117.
In breve: con il primo si passerebbe,
se scelleratamente vincesse il sì, da 9 parole a migliaia e, aprendo la sezione
dedicata alla formazione delle leggi, si illustrerebbe con particolare
chiarezza la “capacità di semplificazione” di questo governo nella materia
chiave della riforma che è appunto il procedimento di formazione della
legislazione nazionale.
L’oggetto della riforma prevede il
passaggio dal bicameralismo perfetto al bicameralismo (molto) imperfetto, con
il Senato che anziché essere eletto sarebbe composto da sindaci e consiglieri
comunali nominati dalla segreteria del partito che vince le elezioni, o la
tombola a Bruxelles, come nel caso dei nostri ultimi tre governi.
L’unica novità sostanziale sarebbe
l’immunità per questi signori, che oggi ne sono privi!
Per quanto riguarda le competenze
di questo Senato veniamo alla seconda norma, quella che modifica l’art. 80
della costituzione.
Premesso che tutta la materia dei
rapporti internazionali nonché, ex art. 78, la deliberazione dello stato di
guerra, sarebbero attribuiti alla Camera dei Deputati e dunque ad un assemblea
eletta, in cui rimarrebbe comunque, almeno in teoria, la possibilità di una
dialettica parlamentare, l’art. 80 invece si conclude: <Le leggi che autorizzano la ratifica dei trattati relativi
all’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea sono approvate da entrambe le
camere>, quindi anche dal Senato (pseudo)riformato>.
Le norme dei Trattati europei e
solo esse sarebbero dunque immodificabili senza il voto del Senato, che, come
abbiamo detto, non sarebbe composto di votati e non voterebbe la fiducia, cioè
risponderebbe solo al premier e al segretario del partito di maggioranza che
nel caso di Renzi coincidono.
Questo significa che solo il sig.
Renzi, con la sua riforma, potrebbe legittimamente aspirare a modificare gli
odiosi vincoli di Maastricht, ma senza correre il rischio di dibattiti politici
tra senatori eletti o, peggio, di voti di sfiducia, che nel nuovo senato non
sarebbero neanche ipotizzabili.
Questo significa che il nostro
Renzi, che deve la sua carica non al suffragio degli italiani, ma al benestare
degli alleati-padroni, ha rassicurato costoro sulla stabilità delle norme
fondamentali UE calpestando la sovranità popolare nell’atto fondante della
repubblica: la Carta Costituzionale.
L’oligarchia che ci vuole imporre il
premier e che non vuole la sua elezione mediante libere consultazioni è in
Europa: a Roma ha solo i suoi esecutori.
E per concludere veniamo all’art.
117 che al comma 4 prevede: < Su proposta del governo, la legge dello Stato
può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo
richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la
tutela dell’interesse nazionale >.
Può essere sufficiente che la
tutela dell’interesse nazionale sia affidata a leggi dello Stato senza alcuna
procedura di urgenza, né strumenti amministrativi che possano avere un minimo
di efficacia nell’azione dell’esecutivo?
Per questo il nostro No non è un No
di conservazione ma di cambiamento: noi vogliamo una riforma vera, affidata ad
un’assemblea costituente, in cui, e si tratta solo di un esempio, l’interesse
nazionale sia nelle mani sicure di un Presidente che sia eletto dal popolo e
quell’interesse sappia farlo proprio senza che gli venga dettata l’agenda dalle
consorterie di Bruxelles.
Siamo quindi per una Repubblica
Presidenziale che sappia restituire la sovranità al popolo in un quadro di
poteri equilibrati e bilanciati che possa coniugare al meglio governabilità e
garanzie per le minoranze.